Riguardo al movimento operaio, sarebbe opportuno fare una distinzione fra conservatori e moderati: in quanto i primi negano, in sostanza, l'esistenza di una questione operaia e affermano invece l'esistenza di un problema di carità e di beneficenza; i secondi sostengono invece che una questione operaia c'è, riconoscono che qualcosa per gli operai si deve pur fare e si mostran disposti a considerar legittime alcune richieste operaie. Ma le due posizioni non son troppo distanti, anzi vi si passa per gradi intermedi e insensibili. Questo in teoria. In pratica, poi, riesce impossibile isolare ed esaminare partitamente un'azione filoperaia dei conservatori e un'azione dei moderati. Partendo da premesse diverse, questi due gruppi (del resto anche politicamente non nettamente distinguibili) giungono, in ultima analisi, a conclusioni pressoché identiche.
Incoraggiano, d'accordo, la formazione di società operaie: le quali hanno il diritto di sussidiare i soci vecchi o ammalati, di aprire spacci cooperativi e soprattutto di istituire corsi d'insegnamento e biblioteche: non davvero quello di interessarsi seriamente delle condizioni economiche dei soci, tentando di far migliorare i loro contratti di lavoro. Malvista è la tendenza delle società verso una federazione nazionale, che potrebbe dar loro una potenza assai pericolosa, né si ammette che possano occuparsi di questioni politiche.
Conservatori e moderati s'immobilizzano in questo programma minimo, che si è formato in Piemonte prima del 1860; non comprendono mai la necessità di rinnovarlo di fronte all'evoluzione rapidissima della classe operaia: non s'avvedono che quel che poteva bastare agli artigiani dispersi nei piccoli laboratori è insufficiente per gli operai agglomerati nelle officine.
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