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      Il loro atteggiamento, che significa disinteresse per le questioni politiche, anticipa una ben nota tendenza del futuro movimento operaio italiano, che troveremo già notevolmente diffusa, con grande disperazione di Mazzini, verso il 1871.
      I delegati che rimangono al congresso, dopo breve discussione, esprimono il voto che «venga allargata la base elettorale in guisa che gli interessi delle classi operaie siano sempre rappresentati». Col qual voto, non avendo nominato il suffragio universale, par loro di aver salvato la situazione. La nostra discussione, conclude il presidente nel toglier la seduta, «è ristretta entro il circolo degli interessi operai»(83).
      Il Congresso di Milano vede dunque il trionfo dei mazziniani: era la tesi di Mazzini che il primo dovere e il primo diritto degli operai fosse quello di partecipare alle competizioni politiche del paese. Non per questo si deve attribuire agli sforzi di Mazzini o dei mazziniani il risultato del congresso.
      Mazzini, nel 1860, con la ristampa del suo vecchio scritto sui Doveri dell'uomo(84), al quale ha aggiunto un nuovo capitolo dedicato alla questione economica(85), ha esposto con grande chiarezza alle classi operaie il suo programma sociale. Questa è la base necessaria al lavoro cui egli si darà negli anni successivi per spingere all'unificazione le società operaie e per tentare di concentrare in sé il potere direttivo del movimento operaio italiano. Ma questo lavoro non s'inizia davvero nel 1860.
      Al Congresso di Milano partecipano molti mazziniani, rappresentanti di società operaie liguri (con alcune delle quali Mazzini ha sempre conservato relazioni dirette) e lombarde.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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