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      Gli operai scioperanti, che non dispongono di casse di resistenza dalle quali attingere sussidi, riprendono il lavoro al piú presto per non trovarsi alla miseria. Le domande di diminuzione dell'orario lavorativo non vengono accolte: i proprietari sanno che non hanno nulla da temere dalle maestranze impotenti e che lo sciopero non può prolungarsi che per pochissimi giorni.
      Solo gli operai nastrai della ditta Visconti (Milano), che sono apertamente sostenuti dalla loro società di mutuo soccorso, e che possono perciò restar senza lavoro per tre settimane, ottengono una completa vittoria; il proprietario concede loro il richiesto aumento di salario. È un esempio per le altre categorie di lavoratori.
      Desta meraviglia il notare che il maggior numero di scioperi operai si verifica nel Sud d'Italia e specialmente a Napoli; non certo sotto il cessato regime borbonico le classi lavoratrici avevano appreso a esercitare questa evoluta forma di protesta.
      È vero che le condizioni generali di malessere diffuse nel proletariato italiano in quell'anno si aggravano nel Sud pel concorso di altre circostanze. Ma non pare (né parve ai contemporanei) che ciò bastasse a spiegare il seguito ininterrotto di scioperi(91). Chi li suggeriva agli operai meridionali? Si pensò - e forse in parte con ragione - che ci fosse la mano dei reazionari.
      «La Nazione» (Firenze, 11 luglio), a proposito dello sciopero degli arsenalotti e operai delle ferrovie napoletane, disse chiaro che essi eran dovuti alle mene dei mandatari del Borbone, e approvò il governo che affrontava energicamente la situazione.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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