Delle 124 società rappresentate, oltre metà appartenevano al Piemonte (67); 16 alla Liguria, 16 alla Lombardia; erano poi rappresentate alcune società toscane, emiliane, umbre, laziali, napoletane e sarde.
La Commissione permanente aveva ricevuto centotredici quesiti da proporsi alla discussione. Undici di essi concernevano questioni politiche e la commissione, per evitare i guai del Congresso di Milano, li aveva scartati(103). Sugli altri (salvo alcuni riguardanti l'amministrazione delle società) val la pena di fermarsi un istante, per rendersi conto del modo col quale venivan prospettate le questioni del lavoro dai fautori del movimento operaio.
Va notata subito una cosa. Ed è la scarsità dei quesiti presentati dalle società piemontesi, che pure costituivano la maggioranza di quelle aderenti al congresso: gli è che i moderati, cui esse obbedivano, ammaestrati dall'esperienza milanese, erano ormai diffidenti di fronte alle nuove tendenze che s'andavan facendo strada nel movimento operaio; seguivano preoccupati la intensa attività di Mazzini e ora concentravano i loro sforzi nel mobilitare quanti piú potevano fautori del loro programma, i quali vigilassero sull'andamento del congresso, pronti a levare una solenne voce di protesta nel caso, molto probabile, che i democratici intendessero di ripetere la manovra dell'anno precedente. C'erano grosse questioni preliminari da discutere: i quesiti passavano in seconda linea.
I democratici fecero invece un notevole sforzo perché il congresso riuscisse un'ordinata esposizione di tutti gli aspetti piú importanti del problema operaio, di fronte al paese.
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