«Se la Sardegna venisse, fors'anche da una nuova falange di 229, smembrata dall'Italia, e se lo straniero si attentasse di occuparla, vi obbligate voi a protestare contro il fratricidio, e ad impedire, con tutti i mezzi dipendenti dalle associazioni operaie, che l'usurpazione venga consumata? Accorrete voi in aiuto dell'isola sorella, in virtú dello stesso principio di mutuo soccorso che lega i membri delle vostre associazioni?»(106).
Circolavano, in quei giorni, voci allarmistiche su una probabile cessione della Sardegna alla Francia: mazziniani e garibaldini avevano scatenato una campagna vivacissima contro Napoleone III e il governo di Torino, accusandoli di ostacolare il compimento dell'unità italiana, di voler mutilata l'Italia, macchinando altri baratti sul genere di quelli di Nizza e Savoia. Con l'interrogazione dei sardi, nettamente antigovernativa, s'impone la questione politica e il dibattito di partito.
Vincenzo Boldrini, tra il tumulto suscitato dall'interrogazione, sostiene che bisogna dapprima e una volta per sempre stabilire se al congresso si può o non si può discutere di politica. Uno dei sardi tenta dimostrare - e l'assunto era certamente ardito - che la questione dell'isola non è punto politica, bensí proprio di mutuo soccorso, perché si tratta d'impedire il passaggio di fratelli dalla libertà al servaggio. La confusione nell'assemblea aumenta. Mentre il presidente sospende la seduta, molti delegati escono protestando. Ad evitare guai piú grossi, lo stesso delegato sardo propone ai congressisti di limitarsi a dichiarare che «chiunque proponesse la cessione della Sardegna sarebbe dichiarato traditore della patria, il che ritiene impossibile», e che si passi ad un altro argomento.
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