I mazziniani non subiscono inerti la raffica. Chiariscono e giustificano i deliberati del congresso, provano la calunniosità delle accuse che vengono loro lanciate. La Fratellanza artigiana, il 6 ottobre 1861, rilevando in un manifesto come i «bianchi e i neri, i moderati e i retrivi, i sedicenti liberali e gli assolutisti, si sono trovati uniti per spargere che vogliamo trasformare le associazioni di mutuo soccorso in congreghe politiche e usurpare perfino le prerogative dello Stato», si domanda se la causa del loro atteggiamento non debba attribuirsi, piuttosto che a ragioni di principio, al loro dispetto nel vedere le associazioni operaie aderire sempre piú numerose ai partiti di opposizione. Gli odierni apolitici, infatti, «sono gli stessi che nel Congresso del '58 proponevano affiliare codeste associazioni alla politica Società nazionale, fondata a fini esclusivamente politici». L'origine dei dissensi poi sta nella proposta, votata dal Congresso di Milano di chiedere al Parlamento il suffragio universale(117).
Qualcosa di vero c'era senza dubbio, in questa affermazione; difatti, in un'altra protesta contro il IX Congresso, firmata dai delegati della Società operaia di Torino, si trova espressa l'opinione che il voto universale sia «dannoso alla patria ed agli operai, ed utile solo ai reazionari ed ai mestatori politici che, sperando il popolo dimentico del passato, sia per nuovamente accordarle [sic] quella popolarità da loro in altri tempi sí male usata»(118).
Non dunque soltanto divergenze sulla politicità o meno delle società operaie ma, piú largamente, sul programma mazziniano.
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