Col Congresso fiorentino - scrive «La Nazione», 13 Ottobre 1861 - «la guerra civile, per ora morale, doveva entrare col signor Mazzini in quei tranquilli ritrovi e funestarli. Egli incominciò a scriver lettere da ogni parte, e dove sperò trovar proseliti ad inviare emissari. Accarezzò le ambizioni, e fece credere a' semplici ed onesti operai, a' fornai ed a' calzolai di essere economisti e scrittori, e dié loro a firmar articoli di filosofia socialista, di scienze morali, di legislazione, di economia...»(119); è dovere degli onesti quello di rivelare «tutto intero il programma del partito d'azione, capitanato dal Mazzini», che, in sostanza, si riduce a voler disfatta l'Italia, provocando nel suo seno lotte fraterne e guerre esterne(120). Se bisogna «guardarsi dagli agenti dell'Austria, da quelli del cardinale Antonelli, non bisogna dimenticare i socialisti del Mazzini, gli usurpatori di camicie rosse».
La polemica dilaga, s'invelenisce.
«L'Unità italiana» ribatte una ad una le affermazioni dei moderati, facendo notare che le società operaie dissidenti appartengono al solo Piemonte: «ciò che prova una volta di piú l'antagonismo, in cui il Piemonte s'è messo di fronte a tutta l'Italia»(121) - invita gli operai italiani a scegliere fra il programma mazziniano e quello dei moderati, i quali pretendono che i lavoratori «si occupino esclusivamente degli interessi materiali... senza mai osare di lagnarsi se il governo conduce a perdizione il paese»(122).
Intervengono nella polemica perfino giornali stranieri.
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