«La Patrie», portavoce dei clericali francesi, scandalizzata per le proteste contro l'occupazione francese di Roma che non sono mancate nel Congresso operaio, loda senza riserve quanti hanno voluto apertamente separarsi da chi «minacciava di mettere a fuoco e fiamma col socialismo, col comunismo... l'Italia tutta»(123).
Ai dissidi di partito si aggiungono quelli, piú meschini, di persona. Dolfi, Macchi, Sbarbaro, Fava s'accapigliano per le gazzette, rinfacciandosi il contegno tenuto al congresso: Macchi è tra i secessionisti; Sbarbaro, che ha partecipato a tutte le sedute, si è poi associato ad essi(124). Una profluvie di opuscoli riesamina a fondo, in vario senso, la vexata quaestio della politicità(125).
Mentre i moderati e i mazziniani s'accapigliano, la stampa clericale si gode lo spettacolo: l'esito del Congresso di Firenze prova ancora una volta che, quando si è imboccata la via della rivoluzione (e sono i moderati che l'hanno imboccata, a suo tempo), non ci si può fermare quando e dove si vorrebbe: c'è una logica della rivoluzione. I mazziniani - scrive «La Civiltà cattolica» nel dicembre 1861 - «tengono il disopra, e a vero dire hanno dato saggio di molto miglior logica e di migliore accorgimento che non i proseliti del ministero»(126).
Se i secessionisti appartengono quasi tutti a società piemontesi, pure l'assidua propaganda che essi fanno muove alla ribellione contro il Congresso di Firenze anche gruppi d'operai d'altre regioni; perfino a Firenze una settantina di soci della Fratellanza artigiana presentano le loro dimissioni dichiarandosi «disposti sempre per altro ad iscriversi ad una società di mutuo soccorso la quale offra garanzie certe di non servire a intenti settari e personali ambizioni»(127). E s'intende che i moderati trovano subito modo di contentarli, fondando nel '61 stesso, in Firenze, una Società operaia, che il mazziniano Minuti accusa di non aver altro scopo che quello di «dividere le forze artigiane e tenerle lontane da ogni azione politica e sociale»(128). A Livorno, la Società degli artigiani muratori inserisce nel suo Statuto un articolo in base al quale la Società «esclude la politica, la quale distoglie dal lavoro, accende quistioni e discordie, e rende l'artigiano ozioso e superbo»(129).
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