I dissensi rivelatisi a Firenze, le diatribe sui giornali, il Congresso di Asti, sono presto dimenticati. «Noi non dobbiamo solamente curare il progresso operaio - scrive a Savi, Mazzoni e Franchini il 29 novembre - ma tentare che, mentre non esiste in Italia iniziativa di sorta, questa unificazione operaia riesca tale da costituire una iniziativa tra le classi operaie europee»; e presenta loro un abbozzo di statuto «da discutersi tra voi tre», dichiara in capo alla lettera; ma qualche riga piú giú: «Vi scongiuro quindi ad accettare, quando la coscienza ve lo permetta, il mio linguaggio». L'abbozzo di statuto, successivamente riveduto e corretto, è in sostanza quello stesso che verrà poi approvato nel Congresso di Napoli (1864) e, con piú solennità, in quello di Roma del 1871(134).
C'era molto da lavorare, in mezzo ai nuclei operai, e grande era il bisogno che giovani, fidenti elementi della borghesia intellettuale si avvicinassero al popolo per comprenderne la miseria, gl'infiniti bisogni, per migliorarlo e anche, sí, per esserne migliorati: poiché nell'operaio si trova «ciò che è piú raro trovarsi in oggi - la spontaneità degli affetti, la schiettezza disinteressata delle impressioni, l'abitudine della moralità»(135).
«Accostatevi fidenti al popolo, o giovani, e se a lui infonderete virtú di piú buone e larghe idee, ne trarrete copia interminabile di energici e schietti sentimenti. È l'ideale che divengano uno chi pensa e chi fa». Cosí, proprio l'ultimo giorno del 1861, Mazzini scrive all'Associazione giovanile abruzzese(136).
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