Nel novembre, era sorta a Milano la Società degli operai lavoranti in pettini. Alcuni di essi, licenziati dai loro padroni per mancanza di lavoro, avevano impiantato una propria officina nella quale potevano lavorare circa venti operai. Nei giorni festivi, da principio, tutti i soci avevano prestato gratuitamente alcune ore di lavoro, provvedendo in tal modo all'acquisto di utensili e delle materie prime. In pochi mesi l'attivo aveva raggiunto le 4000 lire(152).
Erano esempi bellissimi di coraggiosa iniziativa(153).
Non bisogna dimenticare, in questo quadro sintetico, un'ultima nota interessante: la diffidenza che gli operai nutrivano contro le macchine, delle quali, proprio in quegli anni, nell'Italia settentrionale e sporadicamente nel resto della penisola, s'andava operando l'introduzione. In nessun paese del mondo la trasformazione del lavoro da manuale a meccanico s'operò senza incontrare ostinate resistenze nelle masse lavoratrici, che in essa scorgevano una causa di diminuzione nell'offerta di lavoro e quindi di ribasso nei salari. Bisogna dire che in Italia tali resistenze non esorbitarono, salvo eccezioni, dai limiti di una ben comprensibile richiesta di garanzie. Qualche caso eccezionale verrà in seguito illustrato(154).
Il movimento operaio, dunque, non aveva subito soste nel 1862, anno di grave crisi per la democrazia. Un numero sempre maggiore di lavoratori s'andava affacciando, attraverso all'associazione, alla vita pubblica, perdendo il senso funesto del proprio isolamento e acquistando coscienza dell'esistenza di grandi interessi collettivi.
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