«Fede e Avvenire», la cui redazione settimanale è affidata a Levino Robecchi, è infatti assai ottimista sulla possibilità di appianare le questioni tra capitale e lavoro(156), ripudia nettamente le teorie socialistiche(157) e ogni mezzo violento di lotta(158); ripone ogni fiducia nel progressivo diffondersi dell'istruzione tra gli operai, caldeggia l'istituzione degli arbitrati di lavoro, incoraggia le cooperative di consumo; insiste sul dovere che hanno le classi operaie di interessarsi alle vicende politiche del paese(159) (e perciò, accanto agli articoli di carattere economico, altri ne stampa o politici o storico-patriottici) e le classi abbienti di interessarsi al movimento operaio.
L'unica seria discordanza da Mazzini e dalle sue dottrine, in «Fede e Avvenire», consiste nella scarsa fiducia che questo mostra di riporre nella cooperazione di produzione, per la quale dichiara piú d'una volta che le masse operaie sono ancora assolutamente immature(160).
Mazzini invece seguita a vedere in essa il mezzo piú efficace per risolvere gradatamente il problema del lavoro. E proprio nell'agosto 1863, plaudendo ad alcuni falegnami genovesi che hanno emesso un prestito per ricavare la somma necessaria ad aprire per conto loro un laboratorio di falegnameria, scrive ai redattori dell'«Unità italiana»: «Desidero vivamente il successo del loro disegno... L'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani per mezzo d'associazioni volontarie è il passo piú importante che l'epoca nostra deve muovere».
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