Mazzini sperava di fare di «Fede e Avvenire» il monitore della classe operaia. Ma fosse indifferenza degli operai o imperizia di redattori, certo è che il giornaletto ebbe poca fortuna: nell'ottobre, quando si radunò il X Congresso delle società operaie, aveva già cessato le sue pubblicazioni.
Nonostante l'accordo intervenuto fra le Commissioni permanenti elette a Firenze e ad Asti, nonostante che quella di Asti avesse rivolto invito a tutte le società che avevano protestato contro le deviazioni fiorentine di partecipare al nuovo Congresso di Parma, per «cementare col fatto la concordia»(161), questo (riunitosi dal 9 al 12 ottobre) riuscí assai poco numeroso: solo 60 società vi si fecero rappresentare da 115 delegati.
I moderati, e in genere i nemici di Mazzini, avevano fatto di tutto per mandarlo deserto(162).
Il Congresso di Parma ebbe dunque scarsa importanza; pochi furono i quesiti presentati alla discussione, malamente dirette e inconcludenti le discussioni stesse. Ritornò fuori l'eterna questione della politicità(163) e, per esempio, non si degnò d'attenzione un interessante quesito presentato dalla Fratellanza artigiana di Lucca sulle cause e i rimedi della disoccupazione operaia(164); si ragionò ancora, e naturalmente senza poter giungere a conclusioni pratiche, sul problema dell'istruzione popolare(165). Di questioni importanti all'ordine del giorno non v'era che quella dell'unificazione delle società operaie e un progetto per la fondazione di una banca artigiana.
In favore dell'unificazione parlarono Savi, Stampa e Guerrazzi.
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