Molti altri quesiti, davvero non indegni d'esser presi in esame, non vennero discussi; vertevano sulla durata del lavoro, sulla proposta di assegnare un premio annuale agli operai per sollecitarli a compiere il loro dovere, sulla partecipazione agli utili, sulla protezione da accordarsi agli operai cui venisse diminuito il salario, sulla secolarizzazione dell'istruzione, sul suffragio universale; un quesito sul contratto d'impiego proponeva una multa a carico del capofabbrica che «licenzia capricciosamente un giovine che adempie al proprio dovere»(191).
L'Atto di fratellanza, attentamente discusso e riveduto, venne approvato nell'ultima seduta. La Commissione permanente(192) fu incaricata di comunicarlo a tutte le società operaie, invitandole a farvi atto di adesione(193).
Il 27 ottobre, commentando i lavori del congresso, «Il Popolo d'Italia» scriveva che i suoi benefizi dovevano «stimarsi immensi». «L'aspirazione di tanti anni si è realizzata. Uno statuto fu approvato, che se non è perfetto, è però un'opera che racchiude i germi del progresso morale e perciò politico ed economico. La libertà vi è adottata come mezzo e come fine. Noi speriamo che sarà fedelmente applicato, e nell'applicazione vi sarà anche maggiore diffusione di libertà. È necessario di darsi ogni sollecitudine per allargare un'istituzione che trasforma la plebe in popolo provvido e pensante».
Giustissimo. Ma quante società avevano approvato quello statuto? Sessanta: neppure un decimo di quelle esistenti in Italia.
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