Mazzini, ancora una volta, si rallegrò moltissimo. L'Atto di fratellanza votato a Napoli non era parola per parola quello da lui proposto. Ma, insomma, non conteneva nulla che egli non potesse approvare; l'unione di tutti gli operai italiani in un unico fascio, possibilmente devoto a lui, gli pareva cosa imminente.
Ancora una volta, le sue speranze dovevano andar deluse. La Commissione permanente, composta di membri residenti in città lontane l'una dall'altra, privata con la morte del Savi (avvenuta nei primi mesi del 1865) del piú attivo elemento, non perfettamente concorde su varie questioni anche importanti, concluse ben poco. Per tutto il 1865 non si parlò di unificazione. Le condizioni sanitarie del paese impedirono la riunione del XII Congresso.
Nel '66 si cominciarono a raccogliere le prime adesioni all'Atto; ma il lavoro venne interrotto dalla guerra, la quale uccise il giornale delle associazioni operaie, costrinse a rimandare la convocazione del congresso, assorbí tutta l'attività dei promotori del movimento operaio.
Dopo la guerra, Mazzini riprese la intransigenza repubblicana, mobilitando tutti i suoi uomini per l'attuazione del suo programma politico. Fino al 1871 né egli né in genere la parte democratica ebbero tempo di dedicarsi, con l'ardore del 1861, alla questione del lavoro. La diminuita attività di Mazzini in questo campo determinò un rilasciamento anche tra le fila moderate: nessuno, cosí pareva, minacciava adesso di far deviare i lavoratori dai pacifici esperimenti di mutuo soccorso e di cooperazione.
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