Gli scioperi si eran succeduti con grande frequenza, assumendo proporzioni sempre piú vaste, rivelando una organizzazione sempre piú accurata e previdente.
Su cinque scioperi scoppiati nel 1863, dei quali ho trovato particolareggiate notizie, uno aveva impegnato quasi tutta la maestranza tipografica di Milano(211), uno l'intera categoria dei falegnami e muratori di Torino(212), un terzo ottocento operai metallurgici in quel di Napoli(213).
Su dieci scioperi dichiarati nel 1864, uno, gravissimo e di non breve durata, era stato proclamato da migliaia di operai tessitori a Biella e nel Biellese(214); un altro da cinquecento operai delle strade ferrate, a Firenze(215).
Queste risolute tendenze della classe operaia avevano cominciato a preoccupare non poco gli ambienti intellettuali. Le prove di resistenza date dagli scioperanti avevano indotto a considerare con serietà quali erano le cause e quali potevano essere i rimedi a questo stato di cose. Perfino alcuni giornali conservatori s'eran messi a studiare la questione con pacatezza e con desiderio di obiettività(216). Si era sentita la necessità di fare una distinzione nettissima tra sciopero e sciopero. Non si poteva condannarli a priori tutti, se si voleva, per esempio, essere ascoltati nella deplorazione degli scioperi violenti che, di quando in quando, scoppiavano nel Mezzogiorno(217).
Lo sciopero cominciava ad acquistar diritto di cittadinanza nella consuetudine delle lotte del lavoro.
Non si poteva dunque dire che il moto degli operai italiani fosse «nullo».
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