La prevalenza dell'uno nell'associazione significava assoluta impossibilità per l'altro di occuparsene direttamente e attivamente.
Marx ostentava un ironico disprezzo per il cospiratore italiano, cui affibbiava in ogni occasione e senza risparmio bizzarri nomignoli e ogni sorta di epiteti ingiuriosi. Scherniva i presupposti religiosi e morali del buon Giuseppe, di Teopompo, di san Piero l'Eremita, di quell'eterno vecchio asino; rimpiccioliva goffamente il titanico sforzo da lui compiuto per sollevare e risolvere il problema politico d'Italia; della raggiunta indipendenza nazionale italiana non si mostrava del resto né soddisfatto né persuaso(226); si rideva del programma sociale di quel leccapiatti della borghesia, e via discorrendo. Compatimenti e sbeffeggiamenti cui non bisogna dare un eccessivo peso, quando si ricordi che era incorreggibile abitudine del Marx di rivolgerli a quanti - uomini grandi e mediocri - o attraversavano il suo cammino o con le loro opere attiravan comunque l'attenzione, avendo il torto di non divider le sue idee. Nel caso di Mazzini, poi, vi s'univa una punta d'invidia per la immensa popolarità da lui conquistata in tanti anni di lotta, e di mal celato timore per le vaste influenze delle quali poteva e sapeva disporre. Marx scrive, sí, fin dal '64, che ormai Mazzini è finito tra gli operai italiani; ma s'accorgerà poi, quando a ogni passo dell'Internazionale in Italia si opporrà la resistenza accanita della organizzazione operaia mazziniana, come profonda, tenace e dura a morire sia l'influenza di Mazzini sulle classi lavoratrici.
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