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      Mazzini, riluttante ad ogni disciplina scientifica, profondamente pervaso di spirito religioso, conquistava i suoi ascoltatori e i suoi lettori non tanto o non solamente con la forza logica del ragionamento, quanto col calore della sua personale convinzione, con frequenti e sapienti ricorsi al sentimento, all'intuito, alla fede, col tono ispirato della parola. Chi non sa vibrare con lui, chi non s'abbandona a lui, non lo comprende e, se può concordare con alcune sue vedute pratiche o premesse teoriche, trova che tutto il suo sistema, come tale, crolla d'un tratto sol che lo si esamini con fredda critica obiettiva.
      Rovesciamo Mazzini e si avrà qualcosa di molto simile a Marx: freddo, preciso, logicamente impeccabile, concreto; cervello assai piú acuto che non sensibile cuore.
      Dall'uno non poteva venire che una predicazione di amore: il sogno della solidarietà fra le classi sociali, una dottrina di educazione e di elevazione morale. L'altro dalla secolare esperienza dell'umanità doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice d'ogni vicenda; legge che non nega, ma innegabilmente attenua l'influenza dei valori morali.
     
      Nel 1871, biasimando le direttive dell'Internazionale, Mazzini afferma che esse o alcune di esse gli erano apparse fin dal principio pericolose e che «inascoltato, lo disse»(228). Dunque serbò rapporti con i dirigenti dell'associazione anche dopo l'accettazione degli statuti redatti da Marx. Scrive anche che quelle direttive pericolose eran del resto corrette «in parte dalle formole, allora sincere, che affratellavano diritti e doveri» (abbiamo veduto quale si fosse la loro sincerità!) E insomma «di fronte a un esperimento che avea pure qualche cosa di grande in sé, non volle incepparlo e tacque fino a quando i tristissimi fatti recenti ebbero avverato il presentimento»(229). Non solo tacque, ma apertamente appoggiò.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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