Inoltre la convinzione che, nel rapido rivolgimento che aveva portato alla formazione dello Stato unitario e posto le fondamenta della prosperità della borghesia, troppo poco posto si era fatto ai desideri e al soddisfacimento dei bisogni, anche se inavvertiti o inespressi, delle classi povere; e perciò la volontà, piú o meno costante e spontanea, di andare incontro a quelle classi e di curarne l'elevazione morale e materiale e di inserirle - per la prima volta nella storia - come forze coscienti nella vita della nazione. Terzo e non ultimo punto di contatto fra loro la visione dell'avvenire europeo, che, pur prospettato sotto forme tutt'altro che identiche, si accordava nella comune aspirazione a veder rispettate e promosse le libertà nazionali dei singoli popoli. Alcuni fra quei democratici - citerò Bertani, Mario e Macchi, che ebbero tutti, in quegli anni, relazioni con Bakunin - eran poi convinti fautori del federalismo, come di quel principio che, intelligentemente applicato, avrebbe potuto rigenerar l'Italia e guarirne tanti mali dovuti alla scarsa omogeneità dei suoi abitanti e alla affrettata unificazione; e ciò valeva a creare fra essi e Bakunin un terreno di facile intesa.
Ma tra il russo e una buona parte dei democratici militanti italiani v'era ancora un altro elemento di accordo destinato, date le circostanze, ad avere la piú grande importanza: la concezione religiosa. Dal '48 in poi la lotta per l'unità e l'indipendenza italiana si era identificata, almeno in parte, con una vivacissima campagna contro il potere temporale dei papi, che per il fatto stesso della sua esistenza e per la sua funzione politica, costituiva uno degli ostacoli piú gravi al raggiungimento degli obiettivi nazionali; ma non soltanto contro il potere temporale, bensí contro il cattolicismo ufficiale che consacrava, insieme a quello, la legittimità degli Stati e di tutto un assetto politico il cui abbattimento era condizione indispensabile alla unità.
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