«Il Proletario» è interessante soprattutto perché si rivela come un quid medium tra il mazzinianismo e il socialismo.
Sul tronco mazziniano (fiducia smisurata nell'associazione operaia, nella cooperazione, inviolabilità del principio della proprietà privata), «Il Proletario», giornale «economico socialista per la democrazia», innestò infatti qualche principio di provenienza bakunistica: primo punto, non fece mai parola del problema politico; inoltre sostenne apertamente il concetto della società divisa in classi antagonistiche, la necessità di uno sforzo tenace da parte della classe operaia per raggiungere la propria emancipazione senza l'aiuto della borghesia; e infine affermò che la ricostituzione sociale avrebbe dovuto basarsi sull'eguaglianza di tutti i cittadini.
Forse perché «Il Proletario» non si occupava di politica, le autorità non lo videro di malocchio, lo lasciarono tranquillamente prosperare fino a raggiungere un 1500 abbonati e poi (7 gennaio 1866) morire di morte naturale(268).
Gli scarsi successi incontrati nell'ambiente democratico italiano impressionarono assai pessimisticamente Bakunin sugli uomini del partito d'azione. Questo pessimismo si mantiene per tutto il 1865 e il 1866: la nostra democrazia non è buona che a parole; in pratica impotente, supinamente asservita non alle idee ma alle persone dei suoi campioni: Mazzini e Garibaldi.
«Che malinconica cosa questa democrazia italiana - scrive scoraggiato Bakunin nel novembre '65. - A mala pena riunendo tutte le sue ricchezze intellettuali, essa riuscirà a mettere al mondo un'idea: pretende vivere sempre di sentimento, d'istinti e di non darsi che delle arie di bravura.
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