Il suo sistematico intervento in ogni episodio della vita pubblica italiana, la sua mania di aderire a ogni corrente d'opposizione, i suoi equivoci perenni, le contraddizioni, i ripicchi personali rendono difficilissima la vita del partito d'azione.
Non meno confusionario appare a Bakunin il radicalismo dei garibaldini. Egli non riesce, per esempio, a capire come tre dei suoi piú fidi seguaci, Fanelli, Gambuzzi e Mileti, pur senza sconfessare la loro fede di rivoluzionari socialisti, possano, nel '66, piantare i lavori della Fratellanza e correre ad arruolarsi nelle schiere dei volontari per una guerra che è a tutto esclusivo vantaggio della monarchia e che tende a consolidare quello stato di cose per la distruzione del quale la Fratellanza è sorta!
Il governo non si rendeva conto dell'incipiente movimento socialista. Mazzini invece cominciava a rendersene conto e non voleva si nominasse neppure il socialismo. «Non esprimeva che un desiderio - scriveva il 24 settembre al Campanella, alludendo a certi articoli pubblicati sul Dovere» - s'evitasse un nome, socialismo, che per consenso di tutti ha un valore di sistema e di sistemi, che dànno una soluzione falsa del problema e allarma tutta una classe numerosissima senza pro'»(292). Il movimento operaio doveva seguire i binari sui quali Mazzini lo aveva instradato. Fuor di quelli era l'errore.
Si poteva evitare di nominarlo, il socialismo. Ma sapeva d'ingenuità da parte di Mazzini tale pretesa, mentre in tutta Europa progrediva - come vedremo - il movimento dell'Internazionale, mentre in Italia si svolgeva, non senza qualche successo, la propaganda di Bakunin e - quel che era assai piú importante - gli operai insistevano nella via delle agitazioni e degli scioperi.
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