Gli è che Bakunin diffondeva il suo programma integrale solo in una ristretta cerchia d'iniziati, che operavano in segreto: il circolo Libertà e Giustizia non doveva servire ad altro che a creare nell'opinione pubblica un ambiente favorevole a quelle novità che la organizzazione segreta avrebbe preparate ed attuate e a legare uomini che, rifuggendo da ogni estremismo, pur condividessero l'idea della necessità di affrontare coraggiosamente il problema della riforma dello Stato. Al contatto dei piú decisi, molti di essi - sperava Bakunin - sarebbero giunti, a poco a poco, a comprendere l'impossibilità di attuare il programma bandito dal circolo senza ricorrere a un violento rivolgimento che paralizzasse le forze dello Stato e desse il potere in mano ai rappresentanti del popolo; e sarebbero cosí divenuti reclute del movimento segreto.
Non conosciamo, al solito, la portata effettiva di questo movimento. Ma a tal proposito è sintomatica una lettera di Bakunin (23 maggio 1867) nella quale egli riferisce che il prefetto di Napoli lo ha denunciato come «promotore e capo del movimento in Sicilia, soprattutto a Palermo, e in genere nell'Italia meridionale»(315).
Nell'agosto 1867 cominciò ad uscire a Napoli il periodico «Libertà e Giustizia», organo settimanale del circolo omonimo: oggi è introvabile. Continuò le pubblicazioni fin verso il febbraio 1868. Pare ottenesse un certo successo nell'ambiente democratico anche perché Bakunin rinunciò a dargli un'impronta rivoluzionaria intransigente(316). Lo diresse il De Luca e vi collaborarono, oltre a Bakunin, che fra l'altro vi stampò una lunga lettera a Herzen contro il panslavismo, Fanelli, Friscia, Gambuzzi, Tucci, Caporusso.
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