Il distacco da Mazzini e Garibaldi si fa intanto sempre piú netto, aperto. Discorrendo di un suo proprio articolo, il 7 maggio 1867, Bakunin scrive: «È la confutazione completa di Mazzini e Garibaldi... con tutta la discrezione e la stima dovute ai due celebri italiani i quali, in questo momento, sono diventati veramente funesti al loro paese»(317).
E il 2 maggio 1867, a Herzen: «Invano tu cerchi di persuadermi a risparmiare i due Giuseppe. Il sentimento di pietà storica è sempre vivo in me, e alla mia età non starebbe di peccare contro questo dovere con giovanile insolenza, ma la stessa storia e i loro servizî nel passato, per grandi che siano stati, non debbono ostacolare la causa nel presente e nell'avvenire»(318).
Pii tardi, nel 1869, rievocando le sue esperienze italiane, Bakunin traccia un irriverente, ma non del tutto ingiusto quadro del partito garibaldino, che è un partito «passabilmente elastico. Manca di caratteri perché manca di principî; quel che gli serve di legame è una specie di culto personale e di fede piú o meno cieca nella stella di un eroe; di modo che se Garibaldi sparisse, il suo partito sparirebbe con lui»(319).
L'attività di Bakunin era dunque riuscita a qualcosa. Maturato definitivamente il suo pensiero sociale, egli aveva esercitato una decisiva influenza su un nucleo di giovani, alcuni dei quali ormai avrebbero seguito la sua guida, anche quando egli non fosse piú stato materialmente vicino a loro; aveva fondato una società segreta che si era diffusa in tutti i paesi d'Europa; aveva dato vita a un circolo e a un giornale che rappresentavano una corrente di idee nuova e spregiudicata immessa nell'ambiente un po' rinchiuso della democrazia italiana; aveva, infine, impostato la lotta contro Mazzini e capito Garibaldi.
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