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      Alla tassa di ricchezza mobile, che le classi lavoratrici si rifiutano di pagare, si aggiunge, sui primi dell'anno, la minaccia di una nuova imposta che graverà soprattutto sulla gente povera: quella sul macinato. Tra il gennaio e il marzo al Parlamento si discute sulla opportunità o meno di introdurla (ministro delle Finanze è il Cambray-Digny); i deputati di Sinistra si preoccupano delle conseguenze che essa potrebbe determinare, portando le grandi masse alla disperazione(338). Crispi pronuncia parole minacciose nella seduta del 25 gennaio 1868: «Ci dite che noi vogliamo offendere l'ordine pubblico. Ma, signori, io condanno l'illegalità nel popolo come la condanno nel governo. Nondimeno io ho un'altra teoria, la quale non può disconoscersi in un paese libero. Quando il governo è uscito dalla legge, io riconosco nel popolo il diritto di resistenza»(339). E il 18 marzo definisce il macinato come «un'imposta progressiva, non in proporzione della ricchezza, ma in proporzione della miseria. Essa colpisce il pane, l'alimento della vita. Ora, chi non sa che il pane entra per nove decimi nell'alimentazione del povero, e per un decimo solo o poco piú nella tavola del ricco... Il pane, o signori, è rincarato dopo il 1860 per le condizioni politiche e economiche dell'Italia; rincarato anche di piú dopo il 1866 per la carta moneta. Con la vostra legge diverrà una merce preziosa, difficile ad acquistarsi dal povero le cui risorse sono limitate»(340).
      I giornali democratici e i nuclei operai cercano di far pressione sulla Camera perché il progetto venga respinto.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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