A Carmignano (Pistoia) il 12 gennaio trecento montanari occupano il municipio, bruciano le carte e il ritratto del re e dichiarano per iscritto che non desisteranno dai tumulti fin quando non avranno ottenuto: 1) soppressione del macinato; 2) abolizione del maestro e della maestra di scuola, l'istruzione resa ai parroci; 3) diminuzione degli stipendi di alcuni impiegati comunali; 4) abolizione del dazio sui maiali(382). In parecchi piccoli centri dell'Abruzzo e delle Calabrie, intanto, la resistenza contro la tassa si fa accanita(383).
Verso il 15 i tumulti cominciano a declinare; l'ordine si va ristabilendo quasi dappertutto. Un mese dopo serpeggia di nuovo qualche torbido, specie nell'Emilia: cosí a Reggio, a Pian di Voglio (14 febbraio) dove si deplorano scontri cruenti con le truppe, a Imola. Il fatto piú grave e piú caratteristico si verifica nei dintorni di Reggio. Due fratelli Manini, figli di Angelo, capo del partito repubblicano in Reggio, si uniscono ai ribelli del contado, assumendone il comando (primi di febbraio). Formano cosí una vera e propria banda, che si reca ai molini a rompere i contatori, a ritirare il denaro eventualmente versato dai contadini per la tassa (denaro che viene restituito ai contadini stessi), che affronta audacemente i carabinieri e le truppe. «Dopo 3 giorni - narra Giuseppe Pomelli in un interessante libro di ricordi(384) - i contadini vedendosi isolati e le città tranquille, scoraggiati e delusi ritornarono alle loro case. I fratelli Manini però, essendo troppo compromessi, assieme a pochi altri non cedettero, ma se ne andarono alla macchia seguitando a molestar carabinieri e truppe». Finalmente, arrestato il padre (considerato come «il Mazzini di Reggio»)(385), perduta ogni speranza di veder allargato il moto di rivolta, i fratelli Manini si lasciarono arrestare; l'amnistia dell'ottobre 1870 li liberò dal carcere(386).
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