Ma l'atteggiamento di Mazzini basta ad escludere ogni partecipazione degli elementi responsabili del partito ai moti di rivolta.
Il Pomelli, che è un testimonio non sospetto (non solamente fu in relazione coi rivoltosi di Reggio Emilia, ma narra i fatti del '69 in un volume dal titolo Patrioti e soldati reggiani del Risorgimento!), a proposito della banda Manini, scrive: «Un momento piú favorevole per fare la rivoluzione non poteva esserci; invece non solo i capi mazziniani consigliarono la calma, ma Mazzini stesso scrisse lettere che a me furono fatte leggere, nelle quali addirittura combatteva quel moto e calorosamente raccomandava di non parteciparvi ma anche di cercare di farlo cessare»(400).
Vi fu dunque tra Mazzini e una parte dei suoi gregari un dissenso sull'atteggiamento da prendersi di fronte alla marea montante del malcontento per l'introduzione della nuova tassa.
Scoppiata piú o meno spontaneamente, è certo che la rivolta prese forme e proporzioni dai contadini stessi e dal governo non prevedute. E fu allora che alcuni nuclei repubblicani, agendo di propria iniziativa, cercarono di utilizzarla ai propri fini, sperando di convertirla in rivoluzione. Si tratta soprattutto dei piú giovani elementi del partito i quali, dopo Mentana, sospirano il momento nel quale Mazzini darà il segnale della rivoluzione; di essa hanno sempre sentito parlare e della necessità di basarla solidamente su larghi strati della popolazione. Ora che una vastissima rivolta, determinatasi all'infuori della loro iniziativa, infierisce in ogni parte d'Italia, par loro certo che l'atteso momento sia giunto.
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