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      Già da un pezzo la formola Dio e popolo, battuta in breccia dalla propaganda materialistica, era stata dimezzata da molti repubblicani, i quali non riconoscendole ormai che un valore storico, ritenevano tuttavia di potersi chiamare ancora mazziniani, sebbene non credenti in Dio; ma ora per la prima volta essi eran costretti a constatare che il dissenso in materia di fede religiosa importava un dissenso fondamentale e insanabile anche nella valutazione della realtà politica e sociale. Di fronte a un avvenimento contingente si accorgevano di avere, negli anni immediatamente precedenti, distrutto in se stessi le fondamenta del sistema mazziniano; ora soltanto misuravano la distanza, che si era venuta, a loro insaputa, frapponendo fra essi e Mazzini. Nel programma mazziniano mancava ormai un mito, mancava un orizzonte lontano e magari irraggiungibile cui tendere. Il mito di Mazzini era stato l'unità d'Italia e Mazzini aveva avuto la fortuna di vederlo realizzato bruscamente, per quanto non secondo le sue aspirazioni, per un colpo di bacchetta magica. Dopo il '60, nonostante il rinforzo dato alla parte di rivendicazioni sociali, il suo programma era rimasto, agli occhi dei giovani, come svuotato: incomprese le sue aspirazioni religiose, poco chiara la sua visione della trasformazione sociale, troppo modesto il piano di riforma o di rivoluzione politica. Ai giovani pareva e parve soprattutto nel '71 che il mazzinianismo avesse terminata la sua trentennale funzione di propulsore della vita italiana.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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