Essi, o la maggior parte di essi, credono in buona fede di continuare la tradizione mazziniana, di esserne ormai i depositari, dopo che il maestro, per senile incomprensione, l'ha tradita o non sa piú intenderne i logici sviluppi. Non solo si può benissimo passare dal mazzinianismo al socialismo senza strappi di coscienza; non solo tra le due scuole non v'è nessun carattere contraddittorio; ma anzi, si può forse sostenere che in Italia è difficile diventar socialisti senza esser prima passati dal mazzinianismo. Lo dice Gnocchi-Viani(599).
Ma, come già ho osservato, bisogna intendersi sul valore di questa vera e propria eruzione internazionalista, poco o punto paragonabile con l'internazionalismo tedesco, inglese o francese, preceduti da un lungo periodo d'incubazione scientifica e di tentativi pratici di organizzazione operaia, consolidatisi attraverso un lento consapevole processo di accrescimento, sotto la spinta di determinate uniformi condizioni economiche; l'internazionalismo italiano è esploso d'un tratto, quasi dal nulla, reazione e non movimento spontaneo, impulso subitaneo e sentimentale, non frutto di ragionata convinzione. In questi internazionalisti del '71 non sono ancora giunti a fusione i vari elementi che concorrono a comporre la loro individualità: Mazzini, Garibaldi, Bakunin e in minor misura la scuola federalistica italiana esercitano su di essi i piú vari influssi; che il libero pensiero, generalmente condiviso, copre e confonde con una patina uniforme di spregiudicatezza.
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