Gli agenti di polizia presenti ne impedirono la votazione.
Mazzini, che dall'esilio segue giorno per giorno lo svolgimento del congresso, è in grande inquietudine.
Il 6 novembre scrive ad Emilia Venturi: «Ho [al Congresso] una maggioranza antinternazionalista, ma per altri rispetti mi sento deluso. Volevo che vi si stabilisse una organizzazione pratica centrale; e fino alla terza seduta - non se ne debbono tenere che cinque - non vi son state che parole, parole... Poi, grazie agli internazionalisti, a Garibaldi - avete letto la sua lunga lettera contro di me? - e ad altre cause, molte società non hanno mandato rappresentanti»(646).
A congresso finito, si dichiara scontentissimo.
«Il congresso è andato male: ciarle senza fine, deviazioni: imprudenze d'amici che hanno cacciato innanzi il mio nome: reazioncelle d'amici ricchi d'amor proprio... incertezza sulla Commissione centrale»(647).
Ciarle, sta bene; deviazioni, reazioncelle, sta bene. Ma potevan proprio dirsi imprudenti gli amici che avevano messo fuori il suo nome?
Il Patto era sostanzialmente opera personale del Mazzini(648). Chi doveva comporre la Commissione direttiva cui era commesso lo studio delle «questioni serie pericolose»? Mazzini se ne era preoccupato; mandando a Dagnino nell'ottobre 1871 alcune avvertenze per il congresso, aveva scritto: «Pensar bene alla scelta della Commissione direttiva centrale: sceglier uomini che possano realmente recarsi a Roma...» Sbrigatosi il congresso, bisognerà «lasciare il resto alla Commissione direttiva centrale, con incarico d'intendersi con me, per mezzo de' miei amici in Roma»(649). A congresso ultimato, cosí giudicava la commissione eletta.
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