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      Anche a molti nuclei operai e democratici non sfuggono l'importanza dell'atteggiamento di Garibaldi e le possibili gravi conseguenze del suo dissidio con Mazzini. La Consociazione faentina delle società operaie di mutuo soccorso il 18 novembre invia al generale un vibratissimo indirizzo: «I vostri dissidi personali che rivelano non differenza di principî, ma rancori di individui, che al bene della patria si sarebbero dovuti sacrificare, schierano in due campi avversi coloro che non seguono l'idea per l'idea, ma l'idea per l'uomo che la manifesta. E par vogliate dar vita novella a un dualismo funesto, pare si tenti propagare due contrari programmi con l'autorità di due uomini contrari»(661).
      È il segno d'una pioggia di indirizzi e proteste che raccomandano, implorano, impongono un accordo(662).
      Ma il 19 dicembre Garibaldi ribadisce ancora il suo internazionalismo. Scrive infatti alla direzione della «Favilla»: «Sí! noi saremo coi soffrenti sino alla fine, dovessimo affrontare la sorte degli Arnaldi e dei Savonarola». «Circa a Silvio(663) ed al Consiglio generale, noi li seguiremo in ciò che consiste nella fratellanza umana. Circa poi a certe idee lontane dall'assentimento dei piú, noi ci manterremo nell'autonomia nostra. In poche parole, noi siamo un ramo dell'Internazionale»(664).
      I mazziniani perdono la pazienza. «Ma perdio! - impreca Giuseppe Petroni sulla "Roma del Popolo", il 18 gennaio 1872, rivolgendosi agli internazionalisti sul tipo Garibaldi - dite una volta quel che pensate e quel che volete!


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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