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      Tutto contribuí a riempirlo, nei suoi ultimi giorni, di un disperato scoramento.
      Nell'ottobre '71 pensava alla morte come all'unico bene ormai desiderabile. «Le delusioni d'ogni genere - scriveva a un repubblicano in Isvizzera - hanno ucciso in me l'entusiasmo e ogni capacità di gioia o di solo conforto fuorché quella che vien dagli affetti; non il senso del dovere. Tento quel poco che tento per un'Italia ideale e per uomini ch'oggi non sono. E se questo senso religioso non si fosse per ventura serbato in me, mi sarei ucciso»(734).
      Finalmente, atterrato, gridava la dolorosa invettiva: «Meglio il ritorno degli austriaci che l'impianto in Italia di quelle false e perverse dottrine che dividerebbero gli italiani stessi in oppressi e oppressori»(735).
      Quarant'anni di battaglie combattute sempre con la stessa fede per lo stesso ideale finirono l'uomo il 10 marzo 1872.
      Appena giunta la nuova della sua morte, cosí scriveva di lui un organo conservatore, «La Perseveranza»: «Quella stessa ostinazione con la quale aveva tenuto ritto il già lacero stendardo della repubblica, oppose a quelli che in questi ultimi giorni cercarono introdurre fra noi le bellissime teoriche del cosmopolitismo. Mazzini ritrovò la energia giovanile e scese nuovamente in campo contro la Internazionale che nega la famiglia, la patria, la religione, sulle quali il suo sistema è piú che ogni altro organizzato. Ma era stanco, e questa lotta con chi gli era stato compagno di fede fino a ieri forse lo esaurí» (14 marzo 1872)(736).


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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