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      Il Congresso di Firenze è stato ancora peggio di quello di Milano del '60 per le molte sciocchezze ed esagerazioni che si declamarono dai gran capoccia dell'assemblea, e in particolar modo dal Dolfi, dal Guerrazzi e dal Montanelli i quali proclamarono addirittura il diritto che si avea dagli operai di occuparsi di questioni politiche in pubbliche assemblee». Il de Cesare propone che «a toglier di mezzo pretesti di scandalo», ogni statuto di società operaia contenga il principio che il primo il quale venga a parlar di politica, ne sia irremissibilmente espulso, poiché non bisogna dimenticare che la questione operaia «è economica e la politica è un pretesto di cattivo genere» (pp. 30, 43)
      (126) E qualche mese piú tardi (aprile 1862), atteggiandosi a mestizia: «Mi duole di dovervi dire che la causa del Mazzini va guadagnando ogni giorno, perché i rivoluzionari non amano le vie di mezzo, e chi ha seguito il conte di Cavour fino a questo punto, non vuol fermarsi, ma procedere innanzi alacremente».
      (127) «La Nazione», 9 ottobre 1861.
      (128) L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze ecc. cit., p. 37, nota.
      (129) Statuto della Società degli artigiani muratori di Livorno, Livorno 1861.
      (130) «La Nazione», 10 ottobre 1861.
      (131) Lettera di G. Mazzini alle società operaie ecc. cit., pp. 8-9.
      (132) «La Nuova Europa», 20 novembre 1861.
      (133) Agli operai sardi scrive, nel novembre: voi riuscirete a provare «a quelli che vorrebbero confinarvi nello studio dei vostri interessi economici, che nell'amore della Patria, nel curarne il Progresso, voi attingete una potenza d'azione nel progresso vostro ch'essi smembrando la vita, non possono avere». Lettere di G. Mazzini alle Società operaie ecc. cit., pagine 6-7.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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