Miraggi e speranze cui anche l'azione ormai tutta italiana e volta all'Italia dei re di Sardegna, valeva a conferire slancio e concretezza e quasi un presentimento di effettuabilità; mentre sul fuoco soffiava, come si è detto, la Francia, insofferente della sua esclusione dalla penisola, ben certa che un eventuale rivolgimento antiaustriaco (e in conseguenza anche antiinglese) non avrebbe potuto essere che d'ispirazione e di segno francese e non avrebbe potuto non condurre, sia pure per vie indirette, ad un aumento dell'influenza sua. Notarono, i diplomatici inglesi, questo nuovo fervore italiano, questa diffusa aspettazione di un avvenire diverso e migliore, questi primi accenni a uno spontaneo confluire di volontà principesche e di esigenze dei ceti piú elevati della popolazione italiana? E fino a qual punto seppero tenerne conto nello svolgimento del loro giuoco politico?
Si può dire che quasi non se ne accorsero, e che agli effetti pratici non ne tennero, comunque, il minimo conto. Tutto ciò non era ai loro occhi che vacua retorica o pretesto e artificiosa creazione della propaganda francese. Le riforme principesche erano una cosa, e andavano incoraggiate se non altro perché valevano a radicare nel terreno italiano quelle dinastie di recente importazione, e quindi ad aumentare le garanzie di conservazione dello status quo; un'altra cosa erano i sogni utopistici di una nazione italiana. La caratteristica dei diplomatici inglesi non eran allora, come non fu mai nel seguito, l'antiveggenza, la facoltà cioè, o almeno il desiderio, di anticipare il possibile corso degli avvenimenti futuri coordinando e tentando di interpretare i segni incerti e magari contraddittori del presente.
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