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      Vero si è che intanto, da essi protetti, prosperavano in tutta Italia gli uffici consolari e le agenzie commerciali inglesi.
      I documenti provano, insomma, che durante l'intero corso del secolo XVIII, o almeno fino agli ultimissimi anni, l'Inghilterra ufficiale (giacché si vuole qui parlare sempre e soltanto di quella, tralasciando d'indagare i rapporti, tutt'altro che remoti, fra cultura inglese e cultura italiana, e le vivissime simpatie per l'Italia, non solamente artistiche e letterarie, diffuse nel gran mondo inglese) ignorò candidamente l'esistenza di un «problema» italiano: ed è inutile dire che se in qualche caso essa si trovò a dover sancire, o proporre, o combattere rimaneggiamenti in un senso o nell'altro della carta d'Italia, ciò fece non preoccupandosi affatto che questi corrispondessero a un piano conforme agl'ideali dei piú progrediti fra gl'Italiani, ma solo in quanto essi contribuivano a mantenere o a turbare l'equilibrio della penisola, e quello generale mediterraneo, e favorivano o compromettevano il quieto e proficuo svolgersi della attività commerciale britannica.
      Un vero problema italiano, in senso nazionale, non si pose del resto all'Inghilterra, come è ben noto, neanche in quei venticinque anni dell'ultimo Settecento e del primo Ottocento, che furono dominati dal gigantesco tentativo della Francia rivoluzionaria e napoleonica di realizzare, specie nel bacino del Mediterraneo, le antiche aspirazioni della distrutta monarchia borbonica. Nel corso di quella lotta, che segna la conclusione di un secolo e mezzo di rivalità franco-inglese, l'Inghilterra, invariabilmente alla testa delle successive coalizioni antifrancesi, e, in Italia, solidale di ogni effettivo o potenziale nemico o vittima della Francia, può anche farsi, come occasionalmente si fa, predicatrice e suscitatrice di idealità «italiane» in contrasto con le imposizioni e le depredazioni francesi, agitando magari anche la bandiera dell'autonomia e della indipendenza nazionale, e promuovendo, nelle regioni italiane libere dalla soggezione francese, ampie riforme progressiste; salvo però a farsi, con altrettanta spregiudicatezza e risolutezza, se e quando ciò possa giovare alla causa suprema, puntello e stimolo di reazione, e a sostenere, di contro alla propaganda rivoluzionaria francese, la necessità e la ineluttabilità di un ritorno, sic et simpliciter, all'ordinamento territoriale sancito nei trattati della prima metà del secolo XVII. Politica dell'opportunismo integrale, giustificata soltanto se la si confronti con quell'unico fine che in realtà si proponeva, e al cui perseguimento ogni altra considerazione doveva subordinarsi: il fine non pure di distruggere la nuova egemonia francese, ma di rendere impossibili per l'avvenire nuovi tentativi in quel senso, sia da parte della Francia che di qualunque altra potenza europea.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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