L'Inghilterra, che dalla Sardegna sabauda, dalla Sicilia, da Malta dirige il grande traffico di contrabbando in Italia, è naturalmente e sistematicamente portata a incoraggiarvi ovunque quelle stesse idealità liberali, quelle stesse aspirazioni nazionali o d'indipendenza che i Francesi hanno agitato un decennio innanzi per conquistare la solidarietà o assicurarsi l'acquiescenza degli italiani alla politica di eversione dell'antico ordinamento territoriale e politico. Le parti si sono adesso invertite: e quella assimilazione medesima che piú o meno spontaneamente l'Italia ha fatto in quegli anni dei principî della rivoluzione francese, fa sí che la propaganda inglese (cui, entro certi limiti di sostanza e di forma, si associa e partecipa il governo di Vienna) trovi un terreno singolarmente preparato ad accoglierla, a farla sua propria, a nutrirsene; e susciti in molti Italiani la speranza e, piú, la persuasione che, una volta abbattuto l'ordinamento francese, saranno proprio quei principî che presiederanno all'instaurazione dell'ordine nuovo. Questo processo di conversione all'Inghilterra di quegli appunto fra gli Italiani che, sul cadere del secolo XVIII, hanno piú entusiasticamente abbracciato le idee nuove venute di Francia, si precisa e si accentua nell'ultimissima fase delle guerre napoleoniche. Nei primi mesi del 1814, in Italia, non si parla che di libertà e di indipendenza. S'intende perciò quanto grave e amara dovesse essere la delusione del ceto pensante italiano di fronte alla fredda realtà del Congresso di Vienna e all'abbandono, anzi al «tradimento», dell'Inghilterra.
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