Gli sforzi dell'Inghilterra per neutralizzare l'azione sovvertitrice di questi diversi elementi si esercitano naturalmente in piú direzioni e variano d'intensità a seconda delle mutevoli esigenze della politica inglese su altri scacchieri, ed altresí a seconda dei programmi politici dei vari gabinetti che si succedono a Londra; ma seguono pur sempre alcune direttive essenziali. Per sopire l'irrequietezza dei ceti colti italiani (tra i quali è pure frequente il richiamo all'esempio politico inglese, invocandosi in particolare il precedente della costituzione siciliana del '12, modellata su quella britannica, garantita agl'isolani da un rappresentante del governo di Londra e poi abrogata con l'aperto assenso del costui successore), il Foreign Office si fa, a Vienna, a Torino, a Firenze, a Roma, a Napoli, consigliere instancabile di progressive e caute riforme amministrative e politiche, che mentre valgano ad esaudire i voti piú ragionevoli della parte migliore della cittadinanza, mirino ad occupare, e quindi a sottrarre al facile e pericoloso esercizio della critica, quelle energie nuove che il periodo francese ha rivelato e messo in valore. Per contentare i ceti commercianti (le cui lagnanze trovano eco nei rapporti dei suoi consoli e nelle sempre piú vivaci rimostranze della colonia inglese in Italia) il governo di Londra, quale che possa essere l'esempio contrario che esso offre con la sua propria legislazione, fa continue, energiche pressioni perché gli Stati italiani, attenuino la politica protezionistica ovunque instaurata dopo la crisi europea, e magari provvedano a stringere fra di loro intese commerciali (ciò che, fra parentesi, assai gioverebbe allo sviluppo dei traffici inglesi.
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