Mediazione inglese, armistizio. Nel '49, riaccesasi, contro gli amichevoli e insistenti suoi consigli a Torino, la guerra, il Foreign Office, sia perché tien fermo alla direttiva d'un Piemonte efficiente, sia perché nutre sempre il timore di un possibile intervento francese, s'adopra a Vienna per far rispettare la linea del Ticino. La crisi è finalmente superata: l'Inghilterra del marzo '49 non è certo sulla linea del '47, delle prime settimane del '48; la sua popolarità effimera è naturalmente svanita del tutto; eppure essa non sente di aver perduto la partita. Il mancato intervento nel nord della penisola di una Francia tornata alle tradizioni rivoluzionarie è quel che le basta; né, come già si è osservato, le duole o le nuoce che la seconda repubblica vada a spegnere a Roma la face della libertà.
Ma veniamo alla crisi risolutiva. Il programma di Plombières non contraddirebbe nella sostanza alle note vedute inglesi sul problema italiano, se - a parte la prevista cessione di due provincie italiane alla Francia - esso non contemplasse il possibile insediamento di dinastie francesi o devote alla Francia, a Firenze e a Napoli; piú ancora se non implicasse la guerra. Di fronte alla guerra, e alla guerra francese, il Foreign Office punta i piedi: tanto piú che il terzo Napoleone si è assicurato il preventivo consentimento russo. Non mai come in quei primi mesi del '59 la causa italiana ebbe cosí cattiva stampa in Inghilterra, governo tory e opposizione whig. È forse la caduta del ministero conservatore, l'avvento del binomio Palmerston-Russel che rovescia questa presa di posizione?
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