Durante una visita che ho avuto l'onore di fare a S. A. Serenissima il principe di Carignano per complimentarlo della nomina a Gran Mastro dell'artiglieria(15), la conversazione si volse sull'ingresso delle truppe austriache in Italia. S. A. si espresse con molto calore e non senza qualche ostinazione contro il governo austriaco, ciò che avrebbe potuto stupire una persona meno al corrente (di me) dei sentimenti dei piemontesi in genere; disse che sperava che sarebbero rimasti dove si trovavano; che non potevano venire in Piemonte se non per due ragioni: per tentare di conquistarlo, cioè, o per prestargli assistenza; che la loro assistenza non era affatto necessaria; e che egli era pienamente persuaso che la sola cosa la quale avrebbe suscitato disordini nel paese sarebbe stata l'ingresso di un soldato austriaco in territorio piemontese. Oso dire che questi sentimenti sono universalmente diffusi tra i militari, e invero che molti li esprimono troppo apertamente(16).
Il dispaccio Percy non ci rivela nulla di nuovo. Analoghe professioni di fede, analoghi sfoghi Carlo Alberto andava facendo in quel torno di tempo, né solo oralmente. Grave è però il constatare come egli non si facesse riguardo di palesare questo suo stato d'animo a un membro del corpo diplomatico recatosi da lui in visita ufficiale, e piú particolarmente al rappresentante di quella Inghilterra castlereaghiana, notoriamente in eccellenti rapporti con la corte di Vienna.
Ma il Percy non si stupiva. Già da tempo egli andava segnalando a Londra la pericolosa effervescenza antiaustriaca determinatasi nei circoli politici e militari in Piemonte, già da tempo egli sapeva che il re medesimo, anziché porvi freno, ne era, inconscio, il primo istigatore(17). Il Foreign Office, per altro, non pareva preoccuparsene.
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