Nient'altro. Il Binder, è noto, partí in giornata.
Il suo collega inglese, intanto, s'impietosiva sulla sorte del principe, e quasi quasi pareva auspicare che il paese in rivolta si stringesse intorno a lui per resistere alle imposizioni del nuovo sovrano.
È da stupirsi - scriveva infatti - che, nello stato di assoluta anarchia nel quale versiamo attualmente, non vengano commessi piú gravi eccessi: il proclama di re Carlo Felice, condannando senza speranza di perdono tutti coloro che si sono in qualunque modo dipartiti dall'antica forma di governo, pare infatti concepito apposta per suscitare il piú sanguinoso sommovimento in tutto il paese.
Sua Maestà non riconosce neanche il principe reggente, per quanto egli sia stato positivamente nominato a quel posto dall'ex re suo fratello. Ho sentito dire che, a chi gli osservava che una protesta siffatta (il proclama cioè) avrebbe provocato una guerra civile nei suoi dominî, S. M. abbia risposto: tanto meglio cosí(39).
Vane speranze, sterili sdegni. La rivoluzione era in pieno tramonto, mentre da Napoli giungeva la nuova del troppo facile, definitivo successo austriaco. La mattina del 21 Carlo Alberto in persona comunicava al Percy l'avvenuta partenza della sua famiglia, giustificandola con «ragioni di sicurezza»(40). La sera stessa abbandonava anch'egli Torino, diretto a Novara. Onde il Percy, che verosimilmente ignorava come, cosí facendo, il principe avesse eseguito un perentorio ordine pervenutogli dal re(41), e a cui resultava che anche il principe della Cisterna aveva preso il largo, accorato scriveva: «È melanconico osservare come quelli che hanno cosí attivamente contribuito a portare il loro paese allo stato attuale, siano i primi ad abbandonarlo».
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