Una tal quale comunanza di risentimenti e solidarietà d'interessi li univa dunque; quella solidarietà che fece perfino temere allo Hill, il giorno in cui parve che re Vittorio e Carlo Alberto, benché per opposti motivi, fossero entrambi, e forse per sempre, banditi dalla patria loro, che «la corte abdicataria potesse entrare in Piemonte con intenzioni ostili, accompagnata dal principe di Carignano». La mitezza di re Vittorio, per fortuna, rendeva quei timori infondati; ma, come scriveva lo Hill, «dal talento e dal risentimento della regina v'è tutto da temere»(79).
Una quinta udienza ottenne il ministro inglese a Modena: dall'arciduca Francesco. L'influenza da lui notoriamente esercitata su Carlo Felice, il prestigio di cui godeva a Vienna, le voci che erano corse su una possibile devoluzione a sua moglie, e quindi a lui, dei diritti di successione alla Corona sarda, tutto ciò rendeva particolarmente importante il conoscere il suo punto di vista sulla questione Carignano. Ma il duca di Modena, se a lungo intrattenne lo Hill su argomenti di politica generale, scandalizzando il suo interlocutore (che ricordava di avere udito da lui, non troppi anni innanzi, ben diversi propositi!) con le smaccate sue professioni antiliberali(80), «evitò accuratamente l'argomento del principe di Carignano; una sola volta, essendo ricorso il suo nome, S. A. R. si serví di espressioni piuttosto sprezzanti».
Tiriamo le somme. Reduce dal viaggio di Modena, William Hill si confermò in sostanza nel primitivo suo atteggiamento circa la questione Carignano.
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