Le due grandi passioni della sua vita, l'aperta campagna e la musica, mentre il problema religioso fu sempre il suo piú profondo e costante tormento: che eran poi tre modi diversi di avvicinarsi a quel Dio che gli riempiva l'anima del suo mistero, quando anche, fatto grande, volle provarsi a negarlo: certo, vie migliori e piú attraenti che non gli sapesse additare, dall'alto della sua professionale imperturbabilità, lo zio prete, fratello del padre, che viveva in famiglia, all'ombra della Collegiata, un po' pedagogo e un po' persecutore dei tre nipotini.
Con l'alfabeto, Beppe impara le note: sillabario e gorgheggio son la sua dose di tutti i giorni. Ha una bella vocina perfettamente intonata, che il babbo e un altro musicista del luogo - il maestro titolare della banda - badano a educargli: a otto o nove anni già trilla, in chiesa, negli assolo, tanto che i paesi vicini se lo disputano per cantare nelle grandi solennità religiose. Spesso, quando è in campagna, improvvisa secondo il suo estro, o anche seduto al piano: e il padre sogna di mandarlo, un giorno, a studiare nel celebre conservatorio di Napoli, che ha dato al mondo il prodigio di un Bellini.
Lo zio prete, che ha fama di erudito e di poeta sacro, e che comunque passa alcune ore del giorno rintanato fra i molti suoi libri, è il suo primo maestro; o almeno è lui che, oltre ad infliggergli i rudimenti del latino, lo inizia ai misteri della versificazione.
Nove anni, bella vita: e se una precoce e malinconica maturità vela talvolta il suo sguardo, se la fragilità della sua complessione fa sí che in famiglia si trepidi sempre un poco per lui, non per questo gli sono ignote le bande dei monelli, e il libero errare in quella liberissima terra, e le spedizioni nei paesi vicini, Castelfranco di Sotto, San Pierino, sulla grande strada pisana, Lamporecchio, patria dei brigidini.
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