Ma il culto per la mamma - un culto spinto fin quasi alla morbosità - sovrasta in lui ogni altro sentimento.
Cerca le carezze di lei con un abbandono e uno slancio che i piú dei coetanei considerano indegno, ormai, della loro adolescenza incipiente; e in lei si rifugia freneticamente, quasi presago di un prossimo abbandono.
La bella vita, infatti, è al suo termine. Un altro zio prete, che in Pisa è salito in grado eminente - rettore del collegio di Santa Caterina - insiste perché il fanciullo gli venga affidato: il collegio è il migliore di Pisa, se Beppe ha ingegno là si farà le ali. Beppe inizia il suo volo col cuore grosso; mai ragazzo di provincia soffrí tanto allo stacco. Pisa è una risplendente meteora e vi ha sede la famosissima università, che sforna medici e avvocati e impiegati di governo; ma non è senza sgomento che da Fucecchio ci si avventura in quel mare, e il collegio può sembrare una prigione a chi è avvezzo a tanta aria, a tanto moto, a tanto verde.
Addio Fucecchio, addio marmaglia giocosa, addio babbo e mamma e sorelle: dalla diligenza che vola via tra suon di bubbole e schiocchi di frusta, il «signorino» avviato alla tonaca o alla toga, converte in lacrime l'invidia dei compagni, mentre gli sfilan davanti le care cose di tutti i giorni.
Lo zio rettore lo accoglie bene in collegio, ma da uomo positivo comincia subito a levargli i grilli dal capo: latino e grammatica han da essere, e il pianoforte vien severamente proibito: la musica non è che uno spasso lecito a tempo perduto.
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