La religione ufficiale soffoca e svia, come accade, la religiosità naturale, che quanto a lui, tuttavia, trova il suo sfogo o piuttosto la sua perfetta espressione nel linguaggio musicale, rifugio frequente di tanti mancati credenti.
Nel 1826, quando Beppe lascia finalmente il collegio per fare il suo ingresso all'università (a tredici anni giusti, età non infrequente allora per l'inizio degli studi superiori: quali studi e quanto «superiori» è facile imaginare!), quando, esordendo alla libera vita, piú gli occorrerebbe la remora di un culto e di una fede, egli è adunque peggio che un ribelle, uno scettico, cui la frettolosa imbottitura erudita e, piú, l'età immatura non hanno ancora consentito di cercare altrove, in sede filosofica, una nuova certezza interiore. Cosí disarmato, e senza transizione, egli entra nella vita libera e indipendente della università.
È uno sbandato. I suoi, cedendo ai consigli dei due zii canonici, vogliono che studi legge; lui preferisce la medicina, ma intanto non pensa che a godere della sospirata libertà: e sono amicizie sperticate con altri studenti, entusiasmanti scorpacciate di musica(97) (l'organo della chiesa del Carmine è il suo preferito; a un certo punto, anzi, si offre e viene accettato come organista fisso, seppure dilettante), frequenza saltuaria alle lezioni della Sapienza, di medicina e di legge. Dal collegio di Santa Caterina lo zio reverendo veglia come può, cioè poco e male, soprattutto mercé periodici rabbuffi, sullo scapestrato matricolino.
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