Si veda a riprova di questa riconoscente equità del Montanelli l'altissimo encomio che al suo maestro egli tributò, venti anni dopo, nelle sue Memorie, sottolineando la novità e l'importanza delle sue dottrine giuridiche e filosofiche(113).
Scorsero cosí, tra maestri, libri ed amici, gli anni dell'università: anni quieti e fruttuosi pel Montanelli, almeno a giudicare dal tono e dal contenuto delle sue lettere e dal pochissimo ch'egli credette di dovercene dire, appunto nelle Memorie. Anche la grande scossa del 1830, che pure infiammò tanto la gioventú italiana, se certamente lasciò traccia nel suo spirito, risvegliandovi un mondo di idee e di aspirazioni fino allora o immature o inespresse, non valse a distorglierlo dagli studi. Il suo nome, ad esempio, non comparve mai, per allora, tra quelli, registrati dal Buon Governo, degli studenti piú infiammati o imprudenti: vero è che non aveva che 17 anni. Pure si furon proprio quei libri, quelle abitudini di disciplina intellettuale, quel frequentare l'élite della intelligenza toscana che di lui, come di tanti altri, suoi amici e compagni, fecero il patriota italiano nel senso moderno della parola. La generazione che nel '48 si mostrò matura ad affrontare, se non proprio a risolvere, il problema italiano, era quella appunto che intorno al 1830 sedeva ancora sui banchi dell'università e che - le poche eccezioni confermano la regola - assisté senza direttamente parteciparvi al grande esperimento fallito del '30-31. Prendiamo i nomi dei giovani compromessi, in Toscana, nei disordini di quel biennio, e constateremo che salvo il Guerrazzi e pochissimi altri, nessuno di costoro prese parte attiva, nell'età matura, alle risolutive vicende del successivo ventennio: molti, anzi, fra i giovani liberali del '30, nel '48 erano diventati codini.
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