E quale altro governo avrebbe permesso che costoro accogliessero, come facevano, ogni straniero di distinzione che fosse di passaggio, senza riguardo per le dottrine politiche che professasse, e anzi tanto piú gradito e onorato se di sentimenti liberali? Il Buon Governo, si sa, si limitava a sorvegliare, a prender nota degli incontri, di tanto in tanto a sussurrare, non mai a intimare, consigli di prudenza: le filze dell'archivio segreto ingrossavano, delizia degli storici futuri, ma le riunioni seguitavano tranquillamente, alimentate dal rigoglioso fiorire dell'«Antologia», e a loro volta alimentatrici di quella famosa rivista.
L'università di Pisa, dunque, era un po' il frutto di quel sistema e di quelle abitudini: ed appariva, in qualche modo, come una specie d'immenso gabinetto Vieusseux per gli studenti. Gli studenti toscani non costituivano, anno piú anno meno, che all'incirca una metà della popolazione studentesca - gli altri eran lombardi e piemontesi ed emiliani e romani; piú, con qualche francese o tedesco, due grossi nuclei distinti, uno straniero e di nazione e di lingua, l'altro soltanto per appartenenza politica: quello dei greci e quello dei corsi, che si contavano di anno in anno a parecchie diecine, e in qualche anno salivano a piú centinaia. Che i corsi, legati alla Toscana da antichissimi vincoli, e da perduranti interessi commerciali, mandassero i loro figliuoli a studiare a Pisa, nulla di strano: tanto piú che il francese, ancora, lo masticavano poco (ma fu una circostanza, quella, di decisiva importanza per l'avvenire della Toscana, e ben lo seppe il Mazzini che seppe mirabilmente sfruttare ai suoi fini quella periodica migrazione di cittadini francesi); piú singolare, invece, l'afflusso dei greci, fattosi particolarmente intenso col crescente peggiorare delle relazioni fra governo e governati, nelle province cristiane dell'impero turco, e poi con lo scoppio e il prolungarsi della irresistibile rivolta.
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