Li dicevano greci tutti quanti, ma venivano da Corfú come dall'Albania, dal Dodecanneso come dai principati di Moldavia e Valacchia o dall'Armenia. Portavano a Pisa la nostalgia della loro patria schiava, il fascino di un'antichissima civiltà soffocata, la dolcezza della loro lingua, il loro gusto agli studi, alle sètte, agli intrighi. Se dai compagni corsi gli studenti di Pisa apprendevano quel che fosse fierezza e solidarietà regionale e in piú ne derivava interesse ai problemi della politica interna francese, quelli greci davano loro il senso vivo di come la questione nazionale premesse non pure l'Italia, ma mezza Europa, e perciò solo si imponesse la necessità di una stretta unione fra combattenti per la libertà nazionale, a qualunque paese appartenessero, di contro al fronte unico della Santa Alleanza. La loro università, insomma, era un poco lo specchio d'Italia e d'Europa: e in nessun altro luogo veniva fatto cosí naturalmente ai giovani colti di discorrere della grande politica, di sprovincializzarsi, di cogliere il lato universale di certi problemi che altrove venivano posti con esclusivo riferimento alle vicende e alle necessità italiane.
Questo carattere cosmopolitico dell'università pisana non è stato sufficientemente rilevato o rammentato sin qui: eppure ebbe decisiva importanza nella formazione del patriottismo toscano. E ancora non bene si sa quanta parte l'ateneo pisano, a un passo dal porto franco di Livorno, prendesse alla organizzazione e alla alimentazione della rivolta greca; né con quanta commozione vi si seguissero le vicende della infelice Polonia.
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