Quanto al dolore, passi. Ma l'eterna amicizia... Verso la fine del '31 i due hanno un primo passaggio d'armi in seguito al quale, offesissimo, il Centofanti non vuole aver piú nulla a che fare col Montanelli. Tocca a questo, cinque mesi dopo, venire a Canossa:
Dopo le cose che son passate fra noi io non ardirei di scriverle se l'interesse della patria, e della scienza, non me lo imponesse... Mi prevarrò di questa occasione per parlarle di me, dello stato terribile in cui mi trovo da cinque mesi in poi, e del bisogno che sento di riottenere la sua affezione? Il cuore mi consiglierebbe a farlo... ma quando rifletto alla giustizia del suo sdegno, quantunque, ingenuamente lo ripeto, per parte mia non sia stato provocato maliziosamente, mi perdo di coraggio. Che le dirò dunque? Le dirò che non ho cessato un momento di amarlo..., e lo amerò sempre finché io vivo, come il mio padre, come il mio amico, come il mio tutto.
E il Centofanti, toccato, perdona: ... «io aspetto con desiderio - e tu vorrai non ritardare... la tua venuta in questa città». Onde il Montanelli, che sospira allora un giornale nel quale lavorare sotto la direzione di «quell'uomo straordinario»: «Noi tutti saremo a sua disposizione - senza altro scopo che quello di riflettere nell'Italia la luce che riceveremo da lei»(115).
Altra volta il Montanelli discorre, sempre col Centofanti, e non senza enfasi, del dovere di prodigarsi per l'umanità e la patria, che egli avverte prepotentissimo: «Ancora pochi anni, ed io pure mi vedrò circondato da giovanetti, che, nuovi alla vita, mi domanderanno di ciò che feci per il bene dell'umanità e della patria, e mi interrogheranno sulle passate vicende». Il Centofanti gli risponde in chiave: non vede l'ora che «il suo giovane amico» lo raggiunga a Firenze, gli magnifica l'accoglienza che da tutti riceverà: «Io ti aspetto con ansietà! Parliamo ogni giorno di te, dei nostri cari e ardenti cooperatori, e della futura vita letteraria che condurremo!
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