Venne in Italia qualche apostolo del sansimonismo? Venne a Pisa? O bastò al Montanelli e ai suoi amici la semplice lettura del «Globe», giornale del movimento, e delle altre pubblicazioni di propaganda? Chi furono, nella università pisana, i componenti di quell'effimera chiesa? Si misero essi in rapporto con la «centrale» di Parigi? Tutte domande alle quali, sin qui, non siamo in grado di dare alcuna risposta, salvo che ci sembra probabile che il Bianchi, il Monzani, il Tonti e forse il Tolomei, che sono i nomi piú spesso citati nella corrispondenza montanelliana del tempo, e taluni di essi, come vedemmo, qualificati «fratelli», facessero parte del gruppo. E il Tommaseo? Seppe mai precisamente a qual titolo i suoi giovani seguaci di Pisa avessero stabilito tanta reciproca fraternità? Fu anch'egli, sia pur per breve tempo, un simpatizzante sansimonista? Altra domanda alla quale non ci sentiamo di rispondere perentoriamente: invitiamo però i biografi di lui a tenere il massimo conto delle strane, ripetute allusioni a un sodalizio di giovani fattegli da Montanelli. Se egli restò all'infuori del sansimonismo, qual senso esse avevano per lui?
Scioltasi nel modo che si è detto quella comunità, non per questo gli affiliati rinunziarono alla reciproca intimità, agli studi e alle aspirazioni comuni. Il Levi ci assicura che quando egli giunse la prima volta a Pisa (e dovette essere nel 1837)(143), «il Montanelli me ne espose le dottrine (del sansimonismo) con l'entusiasmo del credente, la fantasia del filosofo-poeta»; in lui, «come in pochi altri spiriti piú ardenti, sopravviveva nel fondo dell'anima la fede alla idea sansimonista, e si adoperava ancora a propagarla nei cuori aperti ai facili entusiasmi.
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