A Firenze la gran battaglia per la salvezza o la perdita della rivista era ormai in pieno corso, scatenata dalla «Voce della verità».
Viesseux ostentava ancora la sua bella tranquillità: tanto che il 14 marzo spediva al Montanelli due nuovi libri da recensire - la versione di due manuali giuridici tedeschi annotati dal Romagnosi - e altri da consegnare, per lo stesso oggetto, a un amico(171). Montanelli accettava volonteroso l'incarico: «Avrò occasione di dir qualche cosa relativamente alla filosofia tedesca, ai pregiudizi che impediscono in Italia lo studio di quella filosofia, e alla necessità di conoscerla, perché il movimento intellettuale italiano possa associarsi al movimento generale europeo»; e nel contempo spediva al Viesseux il famoso articolo musicale(172).
Ma il governo toscano aveva vinto (o piuttosto perduto) intanto la sua battaglia: l'«Antologia» era morta, un lutto nazionale piú doloroso, piú grave e piú universalmente sentito che se fosse scomparso, davvero, un grande italiano. «Già da qualche tempo io prevedevo ciò che realmente è avvenuto!» scrisse, ai dieci d'aprile, il Montanelli, costernato e indignato. «Potete immaginare però di qual dolore mi riescisse la notizia della soppressione dell'"Antologia" sebbene aspettata! Presto verrò a Firenze. Ho bisogno di discorrere molto con voi»(173). Era tutto un periodo della sua vita che si chiudeva; era una pia illusione - quella di un compromesso possibile fra governo e governati, fra conservatorismo e progresso, fra autorità e libertà - che s'infrangeva; era anche, per lui, una via luminosa che gli veniva sbarrata proprio allorquando avrebbe potuto cominciare a percorrerla piú speditamente e non senza frutto, anche materiale e immediato.
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