.. Questi bisogni sono ambedue una emanazione di quella forza mirabile per cui l'animo esce in certa guisa fuori di se stesso, e si diffonde negli oggetti che lo circondano.
Passando a parlar di poesia come massima espressione di morale in azione, il Montanelli accettava la teoria dell'Ancillon, secondo la quale la grande distinzione fra poesia antica e moderna era quella che l'antica intendeva principalmente a «dipingere l'uomo nel contrasto delle sue affezioni»: che era poi l'antinomia maggiore fra paganesimo e cristianesimo. «Che cosa è la vita nel sistema del cristianesimo se non un contrasto continuo della libertà con le passioni, dello spirito e del mondo? E come può in questo contrasto dilettar l'uomo l'aspetto della natura, e delle bellezze dell'universo?» Perciò la poesia moderna era «sentimento e malinconia, dipingendo l'uomo con tutti i suoi contrasti». La vita moderna, col progresso dell'industrialismo, spingeva l'uomo sempre piú al perseguimento del suo materiale interesse: ed ecco il compito supremo degli artisti, correggere quelle tendenze, rialzare l'umana dignità «con le forme della bellezza tenere vivo quel fuoco sacro da cui si partono tutti quei sentimenti che onorano l'umanità». Ingenuità di poeta? E sia pure: ma, in questo caso, benedetta ingenuità!
A non dissimile meta tendeva l'altro discorso: Dell'amore nella poesia antica e moderna(176): dove, seppure con illazione assai contestabile nella sua perentorietà, il Montanelli stabiliva che «l'amore come bisogno puramente fisico signoreggia nella poesia degli antichi, ed è l'anima della moderna (massimo campione il Petrarca) come sentimento eminentemente morale.
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