In particolare - e pur fra comprensibili dubbiezze e oscillazioni determinate dall'estrema fluidità della situazione - il suo punto fermo in politica era rimasto, dal '49 in poi, quell'uno: che senza l'aiuto di Francia, cioè, la libertà e l'indipendenza d'Italia sarebbero rimaste un bel sogno inattuabile. Questo aveva detto e scritto agli amici italiani di qua e di là delle Alpi, questo si era studiato di dimostrare nelle numerose pubblicazioni date alle stampe in quegli anni, e in questo senso aveva orientato la sua propaganda negli ambienti politici della capitale. Parlava ai Francesi d'Italia e agli Italiani di Francia; né mai si era stancato di ricercare e di additare i motivi e i modi di un allineamento franco-italiano, quand'anche i dati concreti della situazione fossero parsi contrastar nettamente con quei suoi piani politici.
Le innumerevoli e cospicue sue relazioni ed amicizie francesi - dal Lamartine all'Hugo, dal Michelet al Lamennais, dal Quinet al Légouvé, dal Martin al Perrens - non erano state da lui ricercate e coltivate proprio in vista di questa indispensabile illuminazione della «intelligenza» francese sui dati della questione italiana? Oggi sappiamo bene quanto merito risalga all'emigrazione politica italiana nell'attuazione del piano napoleonico concepito e stimolato dal Cavour: ma certo ben pochi fra gli emigrati erano al pari di lui riusciti ad introdursi (grazie anche ai clamorosi suoi successi letterari e teatrali) nei piú esclusivi ambienti della capitale, nessuno conosceva cosí a fondo le redazioni dei grandi giornali.
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